sabato 28 gennaio 2012

Il mio omaggio alla mia città: LA VERA STORIA DI MEZZO CULO

Una persona molto cara ieri mi ha messo un tarlo nel cervello, e dopo qualche ora mi sono deciso ad accontentarla. Lo faccio non solo per lei, ma anche per dare il mio omaggio ad una delle storie più belle nate nella nostra città, e per fare finalmente chiarezza su questa leggenda metropolitana. Ho deciso di scrivere, integralmente e senza errori, la versione originale della storia di MEZZO CULO, che tutti conoscono per il nome ma che pochissimi conoscono davvero. Purtroppo sono costretto a scriverla in italiano, anche se "chiaramente non avrà lo stesso effetto di un racconto in dialetto barese puro"(cit.), quindi cercherò di tenerla il più dialettale possibile. Buona lettura.


LA STORIA DI MEZZO CULO


C'era una volta una famiglia composta dal padre, dalla madre e dai figli.
Un giorno che faceva molto freddo, i figli dissero alla madre: "Mamma, fa molto freddo, sai come sono indicati i panzerotti in questa situazione?? Li facciamo?" "E' vero", disse la madre, " con il freddo pungente ci vorrebbero proprio due panzerotti. Ma come possiamo fare, visto che non abbiamo la padella per friggere?" "Ma', non potresti fartela prestare da qualcuno?" "Certo, è vero", disse la mamma alla figlia grande, " Sai cosa potresti fare: vai da Mezzo Culo e fattela dare.  Bada solo a non chiamarla per soprannome, chiamala Angelina".
E la figlia così fece: passo dopo passo arrivò a casa di Mezzo Culo. "Chi è??" "Sono io, Angelina, potresti aprirmi?" "Cosa vuoi??" "Mi manda mamma. Ha detto se potevi prestarci la padella, che tra mezz'ora già te la riporto" "E a che vi serve?" "Dobbiamo fare i panzerotti" "Certo, con il freddo di oggi sono proprio azzeccati," rispose Mezzo Culo, "Io te la do anche la frisola, però dì a tua madre che dovete portarmi qualche panzerotto, sennò non te la presto. Siamo d'accordo?" "Certo Angelina," rispose la ragazza, "lo dirò senz'altro a mamma. Puoi giurarci. Noi non siamo persone ingrate" "Va bene, allora vai" disse Mezzo Culo, e le prestò la padella.
La ragazza, presa dal priscio, tornò a casa. Appena arrivò, sua madre, dopo aver visto la padella, la mandò a comprare la massa dalla signora che vende il pane e iniziò a preparare tutti gli ingredienti. Finito di friggere, un panzerotto ad uno e un panzerotto all'altro, una popizza a uno e una popizza all'altro, andò a finire che il vassoio rimase vuoto. La mamma disse: "E ora come ci comportiamo con Mezzo Culo?" "Io," disse la figlia, "non ho proprio la faccia di riportarle la padella senza il piatto di panzerotti che le avevo promesso" "So io come fare, visto che la massa è finita" rispose la mamma.
Presero il mangime per le galline e lo trombarono, in modo da fare la massa. Dopo aver riempito d'olio la padella, ci misero un po' di ricotta, un po' di carne e un cucchiaio di zucchero, ma queste cose erano poche per fare dei panzerotti. Allora le figlie si diedero da fare ad uccidere scarafaggi e topi, li impastarono insieme e frissero i panzerotti. La mamma preparò un bel piatto coprendolo con un tovagliolo e lo diede alla figlia con la frisola. Disse: "Ecco, vai da Mezzo Culo e dalle tutte cose. Bada a chiamarla Angelina e non Mezzo Culo. E dille che questo è il piatto di panzerotti che le abbiamo tenuto da parte, questa è la frisola e buon appetito da parte mia".
La ragazza fece proprio così. Appena Mezzo Culo ebbe il piatto disse: "Grazie mille cara, porta tanti saluti a tua madre". Non appena la ragazza se ne andò, prese un panzerotto dal piatto e tirò un morso, che capitò proprio nel punto in cui c'era la ricotta. "Mo, ci iè bell!!!" fu il suo commento, e continuò a mangiare con gusto. Non appena tirò un morso dove c'erano gli scarafaggi, lo sputò a terra e iniziò a gastemare i morti. "Ma che cosa ci hanno messo qua dentro? Devono avere una goccia".
Guardò dentro e vide i topi, gli scarafaggi e altri animali schifosi. Si alzò tutta agitata dalla sedia, era diventata più rossa di un diavolicchio. Prese il resto del panzerotto e lo buttò a terra, proprio come se dovesse arricciare un polpo. Il suo gatto cercò subito di mangiarlo, ma appena lo annusò anche lei andò via, visto che il panzerotto era proprio schifoso. "Ah si," disse Mezzo Culo, "anche la mia gatta si è accorta che fanno schifo. Forse pensavate di prendermi per fessa, ma ora mi vendicherò. Li ucciderò tutti, quanto è vero che mi chiamo Mezzo Culo".
Una vicina sentì Mezzo Culo urlare e avvisò subito la mamma e le sue figlie. La mamma, tutta spaventata, andò a prendere il sapone e iniziò a stenderlo sui gradini della scala che dava alla casa, in modo che Mezzo Culo appena fosse arrivata sarebbe scivolata immediatamente. Unsero i gradini con il sapone, poi misero il comodino e il letto dietro la porta e si andarono tutti a nascondere, uno dentro il vaso della pianta, una nel bagno,  uno dentro la credenza e l'altra nel letto accanto alla mamma, aspettando che Mezzo Culo si sfogasse.
Mezzo Culo, invece, si vestì come la Morte, con un foulard in testa e un pastrano che le arrivava fino alle caviglie. Prese un bastone di ferro, una campanella e uscì. Non appena arrivò al portone, diede una mazzata di mezzo culo e riuscì ad aprirlo. "Sto arrivando," disse guardando la porta di casa, "e faremo i conti".
La mamma e i figli, ancora nascosti, la sentirono e si fecero piccoli piccoli per lo spavento. Mezzo Culo suonò la sua campanella e disse: "Ora salgo il primo gradino". Appena poggiò il piede scivolò per colpa del sapone e si ruppe una gamba. "Maledetti" gridò per la rabbia e per il dolore Mezzo Culo.
Dlin, dlin , dlin,  Mezzo Culo suonò per la seconda volta la campanella. "Adesso salgo il secondo gradino" e fece per salire. Scivolò di nuovo, e si ruppe anche l'altra gamba. Dalla sua bocca uscivano saiette che arrivavano fino al cielo. Dentro casa la mamma e i figli se la facevano addosso per la paura, ma Mezzo Culo non aveva intenzione di fermarsi.
Dlin, dlin, dlin, suonò ancora il suo campanello. "Adesso salgo il terzo gradino". Cadde, si ruppe un braccio e lanciò certe gasteme che si sentirono fino nella casa del diavolo.
Dlin, dlin dlin, "Sto per salire il quarto gradino" e non appena provò ad arrampicarsi cadde ancora e si ruppe anche l'altro braccio. Dopo tutto questo, arrivò davanti alla porta piena di veleno e di rabbia in bocca. Diede una mazzata di mezzo culo alla porta e riuscì ad aprirla. Il comodino e il letto volarono contro la parete di fronte alla porta. Mezzo Culo, tutta arrabbiata, disfece il letto trovandoci la mamma e la figlia grande, e in un secondo le uccise. Dopo iniziò a cercare per tutta la casa. Trovò un figlio nella credenza e lo uccise, ne trovò un'altra nel bagno e la uccise, insomma li uccise tutti, tranne quello che era nascosto nel vaso della pianta.
Non appena il padre tornò a casa, il figlio gli raccontò immediatamente tutto. Il padre allora si armò e andò con il figlio a casa di Mezzo Culo. Lei, non appena lo vide, gli chiese "Che vuoi da me?" "Tu," rispose il padre, "hai ucciso la mia famiglia. Adesso io ucciderò te" "Non è vero, non sono stata io" "Certo che è vero", rispose il figlio, "io ti ho visto, sei stata tu".
Senza che Mezzo Culo riuscisse a cercare aiuto, il padre, con la schiuma alla bocca, la uccise e tornò a casa con il figlio. Non appena entrò, prese la bottiglietta con la Santa Manna dal comodino, si fece il segno della croce e bagnando con le gocce della Manna di San Nicola la moglie e i figli morti e disse: "Santa Manna di San Nicola, fai resuscitare la mamma e tutti i miei figli". 
Improvvisamente resuscitarono, la famiglia si riunì e vissero tutti felici e contenti.


STORIA ME' NON IE' CCHIU', MAL'A LLOR E BEN A NU
(la storia è finita, male a chi ci vuole male e bene per noi)

venerdì 27 gennaio 2012

Il mio viaggio lontano da casa

E' assurdo. Da quando è iniziato il nuovo anno non mi ero ancora deciso a scrivere, nonostante l'infinità di spunti che la vita e gli amici mi offrono. Avrei potuto parlare di comportamenti a dir poco singolari, di prese di posizione che durano pochi secondi per poi accasciarsi sulla posizione diametralmente opposta. Oppure anche di lotte intestine per il potere(chissà poi quale potere). Mi sarebbe piaciuto parlare della situazione del nostro paese, cercando di capire se ce ne stiamo veramente andando al diavolo oppure se una dose di sudore e sangue davvero avrebbe potuto salvarci. Al contrario, ho deciso di parlare del viaggio.
Anche solo l'idea del viaggio mi affascina, è così da sempre. Mi da l'impressione di quella libertà che cerco da quando sono bambino, mi crea nella mente immagini poetiche di tramonti in posti sconosciuti, silenzio di tomba e un paesaggio infinito che può solo farti pensare a quanto siamo infinitesimali rispetto all'universo.
Lo spunto me lo hanno dato le persone che mi sono sempre accanto anche quando non ci sono, dal viaggio di chi non ha sconfitto l'aria di trasferta e ora torna a casa  a quello di chi ormai sembra un pendolare, intrappolato nella spola tra il futuro e il presente; da quello di chi sembra decisa a lasciare il nido per spiccare il volo a quello creatosi nella mia mente, nel quale qualcuno sceglierà la via più ovvia lasciandosi alle spalle parte del suo cuore.
Credo che sia nella natura dell'uomo viaggiare. L'uomo delle caverne si spostava continuamente alla ricerca di terreni fertili o selvaggina; i Romani iniziarono ad espandersi per tutto il Mediterraneo alla ricerca di nuove fonti di profitto; l'America nel Seicento fu invasa da gente che cercava una nuova vita nel nuovo mondo, e così via. I nostri nonni partivano con le loro valigie di cartone in cerca di un futuro migliore, e i nostri padri hanno iniziato a conoscere gli spostamenti per lavoro, sopratutto quello dipendente. E noi? Noi siamo la generazione del 2000, e in questo mondo globalizzato, nel quale può capitare di trovare un tuo concittadino che lavora all'aeroporto della città più bella che esista e anche che un gruppo di amici, per festeggiare un lieto evento quale è l'acquisizione di un pezzo di carta con su scritto "110 e lode", debbano spostarsi in massa attraversando la nazione.
Secondo me, almeno per noi abitanti dello stivale, continuare a pensare di vivere tutta la vita in un unico luogo è anacronistico, oltre che probabilmente sconveniente. Ormai le distanze non esistono più. E poi casa è dove appendi il cappello. O, come preferisco, ovunque ci siano le persone che ti riempiono la vita, rendendo questo viaggio(...) decisamente più veloce e molto più gradevole